lunedì 25 maggio 2015

Quant'è bella giovinezza...


So che fioccano e fioccheranno ancora di più nei prossimi giorni recensioni, opinioni e commenti su "Youth - La Giovinezza", come è giusto che sia per un film in concorso a Cannes, tanto più se il regista è Paolo Sorrentino, il quale, al di là di una bravura e genialità a mio avviso evidenti, divide e fa discutere con ogni suo lavoro. E' stato così per il "Divo", "This must be the place" e "La Grande Bellezza", tanto per citare gli ultimi in ordine cronologico. Sarà così anche per Youth. Per questo mi limiterò, senza troppe pretese, ad alcune impressioni e considerazioni a caldo, dopo aver visto il film.
Di Sorrentino ho amato quasi tutti i film precedenti e ho avuto modo di apprezzare anche le sue notevoli doti di narratore in "Hanno tutti ragione", dove ciò che davvero colpisce - come d'altronde nei suoi lungometraggi - è la costruzione ricca e sapiente del personaggio, oltre al linguaggio originale e godibile.
In Youth Sorrentino affronta il tema della giovinezza e, più in generale, del senso della vita umana, visto attraverso le lenti spesse della vecchiaia. In una scena chiave del film Harvey Keitel, nei panni di Mick, regista di Hollywood a fine carriera intento a concepire il suo testamento artistico, invita uno dei suoi giovani sceneggiatori a guardare attraverso un cannocchiale, a strapiombo sulle splendide montagne svizzere, prima dal verso giusto e poi girandolo dall'altra parte: "Quello che si vede da giovani è tutto vicinissimo. È il futuro. Quello che si vede da vecchi è tutto lontanissimo. È il passato." In questa scena è sintetizzato il pensiero forte alla base del film. Il confronto tra le età dell'uomo, da cui scaturisce una profonda riflessione sul senso dell'esistenza.
Nel tranquillo e silenzioso resort immerso nella maestosa natura elvetica puoi trovare i personaggi più disparati: il Direttore d'Orchestra e grande compositore ormai in pensione (Fred Ballinger, interpretato da Michal Caine) che passa il tempo libero, quello non "impegnato" dai massaggi e dai controlli medici, con l'amico regista Mick (di cui abbiamo detto sopra); l'attore americano che prepara la parte per il prossimo film ma non riesce a scrollarsi di dosso il ruolo più stupido ma anche più popolare interpretato in carriera, quello di un robot (un po' come avveniva al protagonista di Birdman); il monaco buddista intento a meditare e levitare; Miss Universo in vacanza premio e Diego Armando Maradona in cura (stanco e obeso ma pur sempre un mito, con tanto di Karl Marx tatuato a tutta schiena). Ciò che li accomuna è la necessità di isolarsi per un po' dal mondo e di riflettere su se stessi e su come hanno vissuto. Ma soprattutto la dicotomia, il più delle volte sfumata, tra giovinezza e vecchiaia come condizioni dell'animo umano più che come età anagrafiche o fasi della vita.
Non tutti i giovani approcciano allo stesso modo le emozioni, le gioie, i dolori, le vicissitudini, in una parola l'esistenza. C'è chi si lascia travolgere dagli eventi e risponde istintivamente agli stimoli esterni (come la figlia di Fred Ballinger, appena lasciata dal marito) e chi riesce a orientare le proprie scelte con piena consapevolezza (come l'attore Jimmy Tree, interpretato da Paul Dano).
Allo stesso modo tra gli anziani c'è chi, come il Maestro Fred, preferisce rassegnarsi alla propria condizione di pensionato e vive prevalentemente nel ricordo del passato, anche a costo di apparire apatico, e chi, come il regista Mick, non si rassegna ad essere fuori dal giro e non intende rinunciare alla gloria artistica come in un tentativo estremo di sentirsi ancora giovane. Il paradosso è che lui, vecchio, lo è davvero. Anche fisicamente. Lo stesso non si può dire del suo amico musicista Fred, che nonostante la veneranda età gode ancora di una salute di ferro. Insomma ci sono giovani giovani, giovani vecchi, vecchi giovani e vecchi vecchi, volendo esaurire tutte le possibili combinazioni.
Quale sia l'atteggiamento più giusto per affrontare la vita e la propria età potrà stabilirlo lo spettatore e difficilmente le opinioni convergeranno. La mia impressione è che il regista non giudichi ma si limiti a osservare, con distacco e stupore al tempo stesso, la vasta gamma dei sentimenti e dei comportamenti umani.
Paolo Sorrentino, in un'intervista di pochi giorni fa, si chiedeva se il film commuova, legando a questo quesito la sua soddisfazione o meno per la riuscita del lavoro.
A me sembra che i momenti davvero commoventi siano pochi e non per caso. Anche nelle scene potenzialmente più coinvolgenti dal punto di vista emotivo, si rifugge attentamente il rischio della retorica e del sentimentalismo. Al netto di alcuni passaggi onirici e surreali di ispirazione felliniana, la sobrietà con cui un tema così delicato viene trattato dal regista e interpretato dagli attori è infatti a mio modo di vedere una nota di merito. Così come un merito, enorme, di questo film, è quello di stimolare la riflessione del pubblico, quasi rinunciando allo scopo di raccontare una storia.
A mio parere Youth (come pure la Grande Bellezza) è un film che va visto più di una volta, per poterne cogliere appieno le numerose sfaccettature e implicazioni, anche filosofiche.

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