martedì 17 novembre 2015

Disperatamente swing: Sergio Caputo narratore


Difficilmente avrei letto "Disperatamente (e in ritardo cane)", romanzo di Sergio Caputo, se non fossi stato un estimatore della sua musica. Tuttavia non è solo con lo spirito del fan che mi sono avvicinato a questo libro. Ero infatti molto curioso di vedere un gran paroliere come lui - notevoli per ironia e originalità sono i testi di molte sue canzoni - alle prese con l'arte del narrare. Spesso i "non scrittori" partoriscono libri deludenti o per lo meno incompiuti. In qualche caso ci riservano invece gradite sorprese, come Paolo Sorrentino in "Hanno tutti ragione". Stavolta il mio giudizio è meno entusiastico ma non del tutto negativo.
Il tema del romanzo è palesemente autobiografico ed è facile immaginare Sergio Caputo nei panni del protagonista Max Paisani, attempato musicista di buona fama emigrato in California da diversi anni e bloccato temporaneamente in Italia da un banale imprevisto - la perdita del passaporto americano - proprio mentre il suo divorzio con Sara, dalla quale ha avuto due figli, "è in pieno swing" come direbbe Max stesso con espressione divertente e fortemente caputiana ma un tantino abusata nel libro. Il contrattempo, vissuto in un primo momento con rassegnazione e un pizzico di fastidio, diventa per lui un'occasione per riscoprire i luoghi della Roma anni Ottanta dove si è consumata la sua giovinezza, sognando al contempo - ma i suoi sogni sono soprattutto incubi - quella California che rappresenta ormai la sua quotidianità. Il piano della realtà si sovrappone continuamente con quello onirico, dal quale risulta a tratti quasi indistinguibile. Dalla stanza dell'Hyperion, albergo centralissimo ma tutt'altro che chic a cui lo legano motivi sentimentali, Max Paisani parte alla ricerca di se stesso in un frangente delicato della sua esistenza. Tra una serata revival organizzata dal fido manager "The Rain" e una cena col vecchio amico Nick, ideatore di scoop "gossippari" per professione, Max si troverà suo malgrado coinvolto in un mondo di starlet, personaggi da rotocalco e parvenue del jet set all'italiana, descritto da Caputo con lo sguardo leggero e dissacrante che gli è congeniale. Piacevole anche l'altro filone della trama, che, curiosamente, conduce il cantante pop sulle tracce di John Keats, icona della poesia romantica, i cui resti mortali trovarono sepoltura nel cimitero acattolico di Roma.  
Dal punto di vista letterario, va riconosciuto a Sergio Caputo il merito di ricercare uno stile personale e non banale, con alcune soluzioni linguistiche e lessicali che, se talvolta suonano ripetitive e stucchevoli,  più spesso sono al contrario apprezzabili e degne di nota.
Dove invece il romanzo delude - ed è un peccato perché fin lì la lettura è piuttosto godibile - è nel finale, che risulta forzato, poco credibile e anche scarsamente comprensibile.
Per dirla con Woody Allen, provaci ancora Sergio!