domenica 7 giugno 2015

Asini o DSA? La scuola come possibile fattore di rischio.


E' di qualche settimana fa la pubblicazione, per Editrice Ermes di Potenza, di una interessante ricerca dal titolo "La scuola come possibile fattore di rischio", della Dott.ssa Francesca Antonella Amodio, Psicoterapeuta e Docente. L'agile libretto (si legge in un'ora, sebbene un'analisi approfondita dei dati e dei grafici contenuti richieda un tempo ben più lungo) si pone l'obiettivo di gettare una nuova luce sulla problematica delle psicopatologie, correlate a percorsi scolastici fallimentari eventualmente causati da Disturbi Specifici dell'Apprendimento non diagnosticati e non riconosciuti in età scolare. Comunemente si tende ad identificare i DSA con la dislessia (ovvero le difficoltà nel leggere), quando invece questa rappresenta solo uno dei Disturbi Specifici dell'Apprendimento, che comprendono anche disgrafia, disortografia e discalculia. Si tratta di un mondo ancora poco noto all'opinione pubblica, sebbene su di esso si siano concentrati negli ultimi anni numerosi studi e gli sforzi della comunità scientifica. Si sta comunque diffondendo gradualmente (non senza difficoltà) l'idea ormai assodata che l'individuo interessato da DSA è perfettamente normodotato dal punto di vista psicofisico e intellettivo. Anzi sono numerosi gli esempi di veri e propri geni con DSA i quali, nonostante un percorso scolastico non sempre brillante, si sono affermati nei loro campi grazie a capacità intellettive fuori dal comune (su tutti basti citare l'arcinoto caso di Albert Einstein, ma si potrebbe parlare anche di Newton, Mozart, Leonardo e Galileo). E' pur vero, allo stesso tempo, che molti nostri compagni "asini" altro non erano, con buona probabilità, che individui con DSA non riconosciuti innanzitutto da se stessi, poi anche dalle famiglie e dagli insegnanti, soprattutto a causa della carenza di strumenti e di informazione. 
Il DSA, infatti, lungi dall'essere una condizione patologica in senso stretto, consiste in una diversa modalità di funzionamento di alcune aree del cervello rispetto ai processi cognitivi e ai meccanismi dell'apprendimento. Si tratta pertanto di un disturbo che, se opportunamente compensato (esattamente come gli occhiali compensano le diottrie mancanti del miope) non influisce negativamente sulle capacità di studio o di lavoro dell'individuo. Esempi di strumenti compensativi sono l'utilizzo di caratteri tipografici speciali per il dislessico, l'ausilio della calcolatrice per il discalculico o del correttore automatico per il disortografico e ancora modalità personalizzate di verifica dell'apprendimento nell'ambito della classe. Vanno poi presi in considerazione, a seconda dei casi, anche eventuali strumenti dispensativi quali, ad esempio, un minor carico di compiti a casa, prove orali in sostituzione di prove scritte, una maggiore attenzione al contenuto che alla forma dei temi, soprattutto in presenza di disgrafia e disortografia. Tutto questo, naturalmente, è possibile solo se il DSA viene riconosciuto e diagnosticato. Se ciò non avviene, sono, o potrebbero essere, dolori. Ed è proprio questo che la Dott'ssa Amodio intende dimostrare con il suo studio.
L'ipotesi di partenza, scaturita dalla sua pluriennale esperienza di psicoterapeuta, è che dietro una storia personale difficile, con manifestazioni psicopatologiche che possono includere depressione, ansia, disturbi dell'umore, aggressività, dipendenze affettive o da sostanze, possa esserci un percorso scolastico fallimentare o comunque frustrante, dovuto con buona probabilità a Disturbi Specifici di Apprendimento mai diagnosticati o riconosciuti. Tali fallimenti scolastici, peraltro, non sempre sono ammessi dagli stessi protagonisti, a causa del noto meccanismo della rimozione. Presi 17 casi di studio tra i suoi pazienti e un gruppo di controllo con altrettanti casi (nell'ambito di un centro di recupero per le tossicodipendenze), la psicologa ha verificato la presenza di sintomi di DSA avvalendosi, per la somministrazione degli appositi test per adulti (messi a disposizione dal Dott. Enrico Ghidoni del Centro Diagnostico di Reggio Emilia), della preziosa collaborazione delle logopediste Antonella Spota (Centro AIAS - Melfi) e Rossella Grenci (Ospedale S.Carlo di Potenza).
I dati emersi sembrano confermare pienamente l'ipotesi di lavoro. A fronte di un'incidenza dei DSA sulla popolazione generale di circa il 5%, tra i pazienti in analisi si arriva al 30% e tra gli ospiti del Centro di recupero addirittura al 40%.
"Nella nostra società - sottolinea la Amodio - in età compresa tra i 3 ed i 18 anni (ma anche dopo, per chi frequenta l'università), il maggior fattore della stima sociale del sé, se non l'unico, è rappresentato dalla riuscita nei percorsi scolastici e, come Pennac insegna, andare male a scuola è sempre un grande dolore, per tutti, anche per quelli che non vogliono darlo a vedere."
Proprio nella scuola va dunque ricercato quel trauma, inteso come ferita interiore, come rottura di un equilibrio psichico ma anche, secondo l'autrice, come interruzione di un legame con se stesso, con l'altro e con la realtà, che è all'origine di psicopatologie più o meno gravi, fino alle dipendenze da sostanze o di tipo affettivo (più diffuse tra le donne). Chi non riesce nell'apprendimento senza comprenderne le motivazioni profonde tende ad attribuire le colpe a se stesso, anche a causa di un vero e proprio assedio che subisce dall'ambiente esterno: insegnanti, genitori, compagni sono tutti concordi nell'additarlo come scansafatiche, svogliato o addirittura poco intelligente quando magari le cose non stanno affatto così. "Il sé non è un datum - scrive la Amodio - ma si costruisce nel tempo in base ai rimandi che ci provengono dall'esterno e, se questi sono tali da rimandarci continui fallimenti, l'immagine che ci si costruirà di se stessi sarà sicuramente fallimentare." Ecco spiegato come da un percorso scolastico frustrante possa venire fuori un sé poco coeso, instabile, in una parola fragile, che tende a scivolare nella depressione, nelle difficoltà relazionali e sociali o ad aggrapparsi a fattori esterni come sostanze psicotrope o affetti da cui si diventa dipendenti, perdendo di fatto il controllo della propria vita e della propria realizzazione come persona.
Interessante è anche il dato che, tra i soggetti testati, sia risultata molto forte la correlazione tra il grado di scolarità da essi raggiunto e il livello di istruzione dei genitori. Tradotto: se non ci arriva la scuola, tocca alla famiglia. E allora, a parità di DSA, i soggetti meno avvantaggiati dai mezzi economici e culturali disponibili nel contesto familiare di provenienza, appaiono quasi condannati a storie di degrado ed emarginazione.
E' chiaro a tutti che, in un quadro simile, l'istituzione scuola gioca un ruolo determinante nella prevenzione, alla quale può contribuire con un tempestivo riconoscimento dei casi a rischio e con un supporto il più possibile personalizzato ai ragazzi e alle famiglie in difficoltà.
Gli insegnanti italiani, sempre più frustrati, bistrattati e in preda alla sindrome da burnout, saranno in grado di assolvere nel migliore dei modi a questo delicato compito?
Francesca Antonella Amodio, che parla con cognizione di causa da psicoterapeuta e da insegnante, ci lascia con questo interrogativo, aggiungendo però una nota positiva legata alla sua esperienza personale. Lei stessa ha infatti un DSA ma ha avuto la fortuna di incontrare nel suo percorso di vita grandi maestri e forse anche grazie a loro è riuscita a conseguire tre lauree e a realizzarsi professionalmente.  

       

giovedì 4 giugno 2015

Vincenzo Marinelli e l'Ottocento lucano

Vincenzo Marinelli, Il ballo dell'ape nell'harem (1887),
olio su tela, Potenza, Palazzo della Prefettura
Il 2 Giugno ho visitato in extremis la Mostra "Vincenzo Marinelli e gli artisti lucani dell'Ottocento", inaugurata il 28 Marzo presso la Pinacoteca Provinciale di Potenza. Progettata e organizzata dal Centro Annali "Nino Calice" sotto l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica, col Patrocinio del Ministero dei Beni Culturali e di due Atenei, l'Università "Federico II" di Napoli e l'Università degli Studi della Basilicata, la Mostra aveva tra i sostenitori, oltre a diversi enti locali, anche la Fondazione Banco di Napoli.
Non è un caso che dietro l'Evento ci fossero dei soggetti istituzionali così prestigiosi. Il livello artistico della Mostra, curata da Isabella Valente e coordinata da Palmarosa Fuccella, è apparso infatti notevole anche agli occhi meno esperti e ancora più elevato mi è sembrato il valore culturale in senso lato dell'iniziativa. Impagabile, più di ogni altra cosa, è l'aver recuperato alla coscienza collettiva - oltre che scovato con un lavoro di ricerca certosino, visto che molti dei quadri esposti appartengono a collezioni private - un patrimonio artistico italiano e, più in particolare, lucano, di enorme valore. Un patrimonio poco conosciuto nella nostra Regione ma perfettamente noto agli addetti ai lavori e apprezzato dal pubblico in complessi museali di primissimo piano come il Museo Nazionale di Capodimonte a Napoli. La Mostra, peraltro, completa un percorso di più ampio respiro, avviato dal Centro Annali nel 2007 con il progetto sull'artista venosino Giacomo Di Chirico e proseguito tra il 2010 e il 2013 col moliternese Michele Tedesco. Proprio questi due pittori affiancano Marinelli come coprotagonisti dell'esposizione odierna insieme ad altri artisti lucani. Degno di nota anche il fatto che alcune delle opere esposte siano conservate in Basilicata, presso la stessa Pinacoteca Provinciale, al Palazzo della Prefettura di Potenza e all'interno della Casa Museo Domenico Aiello di Moliterno.
Di Vincenzo Marinelli, nato nel 1819 a San Martino D'Agri e artisticamente formatosi a Napoli, dove morì nel 1892, colpisce innanzitutto il filone orientale, ben rappresentato da "Il ballo dell'ape nell'harem", scelto come immagine simbolo della Mostra. L'opera esposta a Potenza (conservata presso la Prefettura), tra le più note e riuscite del pittore lucano, altro non è che una versione ridotta nelle dimensioni di quella esposta stabilmente al Museo di Capodimonte. Marinelli, coinvolto a Napoli nei moti rivoluzionari del 1848 e ricercato dalla polizia del Regno borbonico, fu costretto a riparare dapprima in Grecia, dove operò alla corte del Re Ottone I di Baviera, decorando, tra l'altro, il salone da ballo del Palazzo Regio di Atene e poi il convento di S.Antonio da Padova a Creta. In seguito si trasferì ad Alessandria d'Egitto, alla corte del khedivé Said Pascià, appena salito al trono e sensibile alle belle arti in virtù della sua formazione parigina. Fu quello il periodo più fertile per l'ispirazione del pittore lucano, il quale viaggiò molto al seguito di Said e seppe rendere con incredibile efficacia l'esotismo di certe atmosfere all'epoca pressoché ignote in Europa. Tanto che ancora oggi, pur nella contaminazione globale delle culture, è possibile avvertirne la forza e la vivacità ammirando i suoi dipinti. Basta lasciarsi trasportare dalla carica di sensualità ed erotismo de "Il ballo dell'ape", che deve il suo titolo ad una danza rituale nella quale la ballerina si dimena come "punta da un'ape", finendo per denudarsi completamente, o accompagnarsi idealmente a una "Famiglia di beduini in viaggio".

Vincenzo Marinelli, 
Famiglia di beduini nomadi in viaggio. Ricordo dell'Alto Egitto, 1859
Da buon artista risorgimentale impegnato politicamente anche nella fase storica dell'unificazione nazionale (anima il Comitato insurrezionale di Abriola, dove ha trascorso l'infanzia, ed è tra gli insorti a Potenza il 18 Agosto 1860), Marinelli non trascura il tema della rivoluzione, sia essa quella greca o quella napoletana del 1547, rappresentata attraverso la figura di Cesare Mormile (in basso a sinistra), o ancora quella di Masaniello, accompagnato in trionfo da Ferrante Carafa (in basso a destra).

Vincenzo Marinelli, 
Insurrezione napoletana del 1547, 
Maschio Angioino, Napoli
Vincenzo Marinelli,
Ferrante Carafa e Masaniello,
olio su tela, 
Collezione Anna Faillace























Il tema dell'insurrezione è presente anche nell'opera di Michele Tedesco ("L'arresto di patrioti napoletani a bordo di una bilancella francese", in ricordo della rivoluzione partenopea del 1799, miseramente fallita), il quale si dedica anche a gustosi ritratti di vita quotidiana, come ne "La moglie del banchiere", "La lettera", "La morte del cardellino" e "Il Paggio Falchetto". Così come Giacomo Di Chirico, che incanta per la realistica rappresentazione del costume settecentesco con "La rosa o M'ama, non m'ama". Ancora sul tema della rivoluzione napoletana del 1799 la statua del leone morente (ricostruita in 3D nell'esposizione), opera dello scultore potentino Antonio Busciolano inglobata nel Monumento ai Martiri Napoletani (che avrò visto mille volte passando per l'omonima piazza di Napoli ignorandone gli autori). E' invece opera del nipote Vincenzo Busciolano un particolarissimo dipinto esposto: "Una povera Saffo", il cui titolo lascia ampio spazio a diverse interpretazioni.

Vincenzo Busciolano, Una povera Saffo, 
olio su tela, Arezzo, collezione privata
Tra gli altri pittori lucani spicca il venosino Andrea Petroni col suo "Vorrei" e con la "Figura femminile con colombe", soggetto quest'ultimo riproposto nella decorazione del celebre Caffè Gambrinus in Piazza del Plebiscito a Napoli.

Andrea Petroni, Vorrei (1888),
acquerello e pastello su tela, Napoli, Museo di Capodimonte
Notevoli anche i ritratti femminili di Angelo Brando (donne colte nei gesti quotidiani), Giuseppe Mona e Vincenzo La Creta.