domenica 31 maggio 2015

Lo cunto de li cunti: un pezzo di Basilicata a Cannes?


D'accordo, la mia è una forzatura. Però l'associazione quasi pindarica che ho scelto per il titolo mi sembrava intrigante. Direte: che c'entra la Basilicata? Sì, perché se andate a spulciare tra le location incantate scelte da Matteo Garrone per il suo film "Il Racconto dei Racconti", presentato al Festival di Cannes, troverete Puglia, Campania, Toscana, Lazio, Sicilia, Abruzzo. Non la Basilicata.
Tuttavia, navigando in rete alla ricerca di informazioni sull'opera seicentesca "Lo cunto de li cunti overo lo trattenemiento de peccerille" del napoletano Giambattista Basile, da cui il film trae spunto, ho scoperto con mio grande stupore che i legami con la terra lucana ci sono eccome. E' noto che Basile per i suoi racconti attinse a piene mani dalla tradizione popolare della Campania e della Basilicata. Non solo: alcune delle 50 fiabe incluse nella raccolta di Basile sono ambientate, secondo le ricostruzioni critiche più accreditate, proprio in Basilicata. Raperonzolo, detta dall'Autore napoletano Petrosinella (da petrosino, termine dialettale per prezzemolo) sarebbe stata rinchiusa nel Castello federiciano di Lagopesole, nel Vulture. Quanto alla Bella Addormentata, dove poteva assopirsi se non sul Monte Pollino, nei pressi di quella che ancora oggi è nota come la cima del Dolcedorme (o Cozzo della Principessa)? La fontana dell'eterna giovinezza della Ninfa Egeria è, con ogni probabilità, quella di Mefitis, presso Vaglio. La "Pietra del Gallo" che dà il titolo alla prima fiaba della quarta giornata trae il suo nome dal paese di Pietragalla. In questo racconto Mineco Aniello (da cui il cognome Mancaniello, diffuso soprattutto ad Acerenza) si impossessa di una pietra che dona ricchezza e gioventù e ne ricava un anello, che perderà a causa del raggiro di due Maghi nei confronti della figlia. Il lieto fine, col protagonista che riconquista l'anello, avviene a Pertosa (l'attuale Pietrapertosa). Addirittura la Reggia dove le storie vengono raccontate (in una struttura narrativa a cornice simile a quella del Decameron boccaccesco) si troverebbe nella valle Pilosa, nei pressi di Acerenza (dove non a caso Polosa è cognome diffusissimo). Proprio ad Acerenza Giambattista Basile completò il suo capolavoro nel 1630, durante il soggiorno alla corte del Duca Galeazzo Pinelli. E qui, nel magnifico borgo medievale del potentino, che ospita una delle Cattedrali più antiche del Sud Italia (risalente al secolo XI), c'è il progetto di un Museo della Fiaba da collocare nel Palazzo Glinni, in memoria del soggiorno di Basile e della sua opera immortale.
Per chi, come me, crede nella valorizzazione dell'identità e della cultura lucana, tutto questo è motivo d'orgoglio. Anche perché "Lo cunto de li cunti" è un capolavoro sottovalutato, forse a causa della lingua ostica nella quale è scritto. Certo è che meriterebbe di essere letto e riscoperto, fosse anche solo per l'enorme influenza che ha avuto sulla cultura europea. Basti pensare che a Basile devono la loro prima stesura fiabe di fama universale come Cenerentola (in origine la Gatta Cenerentola), la Bella Addormentata nel Bosco, Hansel e Gretel, arrivate alla popolarità e poi alle trasposizioni cinematografiche attraverso le versioni successive di autori come Charles Perrault, i Fratelli Grimm e altri. D'altronde già prima del Seicento queste storie, tramandate oralmente di generazione in generazione, erano patrimonio dell'umanità. Giambattista Basile, però, fu il primo a farne un'opera letteraria che potesse farle conoscere al mondo. Lo stesso filosofo Benedetto Croce, che tradusse il libro dal napoletano del 1600 all'italiano, lo definì "il più antico, il più ricco e il più artistico fra tutti i libri di fiabe popolari".
Dunque un merito indiscutibile del film di Garrone è quello di aver riportato indirettamente all'attenzione del pubblico internazionale, e quindi di quello italiano, un capolavoro della nostra letteratura poco conosciuto e quasi dimenticato.
Venendo al lungometraggio, il regista si concentra su tre racconti tratti dal libro di Basile, noto anche come Pentamerone per la sua organizzazione in cinque giornate, con cinque narratrici diverse ognuna per dieci racconti. Nella trasposizione cinematografica si perde la cornice e i tre episodi scelti, "La regina", "la pulce" e "le due vecchie" si intrecciano perché i protagonisti sono i regnanti di tre regni vicini, Selvascura, Altomonte e Roccaforte.
Fantastiche le ambientazioni, tra cui Castel del Monte ad Andria, Civita di Bagnoregio (VT), il Castello di Roccascalegna vicino Chieti, il Castello di Sammezzano a Reggello (FI) e il Castello di Donnafugata vicino Ragusa. Molto curati i costumi. Di grande livello il cast, tra cui basti citare Salma Hayek, Toby Jones e Vincent Cassel. Non so fino a che punto venga rispettato lo spirito dell'opera di Basile, considerando la spettacolarizzazione di matrice hollywoodiana che certamente non manca. Di certo il senso del grottesco, del macabro e del cruento che pervade la pellicola in lungo e in largo può avere sullo spettatore l'effetto di riportarlo alle atmosfere del mondo ancestrale in cui quelle storie sono nate e poi sono state tramandate. Un mondo di miseria, di crudeltà, di superstizioni e di paure dove l'idea stessa di umanità era completamente diversa da come oggi la concepiamo. Interessante poi il risvolto morale: come ogni fiaba che si rispetti anche quelle di Basile-Garrone hanno un insegnamento da dare. Ed è un insegnamento che rivela i racconti per ciò che sono: storie scritte per il divertimento dei piccoli ma destinate a essere lette e comprese appieno soprattutto dai grandi.  


    

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