domenica 20 settembre 2015

Vinicio Capossela e l'arte dello Sponzare nel Paese dei Coppoloni




Diciamolo subito: "Il Paese dei Coppoloni" di Vinicio Capossela non è un libro facile e forse non è nemmeno un libro per tutti. La Feltrinelli ha deciso di puntarci forte candidandolo addirittura al Premio Strega, dove è arrivato comunque in finale. Per apprezzarlo appieno non basta una buona cultura letteraria (che pure serve, visti i numerosi rimandi colti che è possibile individuare) ma è indispensabile la voglia di calarsi completamente in un mondo e in una cultura a noi così vicini eppure sideralmente distanti dal nostro vissuto, che coincidono con la civiltà contadina dei nostri nonni, ormai scomparsa da almeno un paio di generazioni. Lo sforzo necessario per penetrare i segreti del linguaggio complesso, intriso di contaminazioni dialettali o pseudotali, poetico e a tratti epico, sempre originale e spesso commovente, non agevola certo la lettura ma il gioco vale decisamente la candela. D'altronde la ricerca linguistica ed espressiva è parte integrante ed essenziale dell'opera, tanto che l'autore ha ritenuto utile fornire al lettore un glossario non scientifico dei principali termini dialettali e gergali adottati: la Busciarda, ad esempio, è l'apparecchio televisivo, mentre la Scalogna è l'onnipresente animale immaginario che abita i campi e scava sotto terra.
Può aiutare, per comprendere meglio il contesto ambientale e il retroterra culturale, recarsi fisicamente in quei luoghi leggendari, sospesi sul confine tra Irpinia e Basilicata, dove una volta il treno correva affiancando e di tanto in tanto attraversando l'antico letto dell'Ofanto. Proprio lì, nella spianata della Stazione fantasma di Conza-Cairano-Andretta, è andata in scena il 29 Agosto la serata clou dello Sponzfest, manifestazione voluta dallo stesso Capossela e ormai giunta alla terza edizione. Chi, come me, ha partecipato all'evento al chiarore della luna piena, alta sulla rupe di Cairano (il Paese dei Coppoloni) che domina la stessa vallata su cui si affacciano anche Calitri (il Paese dell'Eco), Pescopagano, Sant'Andrea di Conza e Andretta, ha pure conosciuto in carne e ossa alcuni personaggi del libro (che, precisa l'autore, sono quasi tutti rigorosamente esistenti o esistiti benché le vicende loro attribuite siano in gran parte frutto della sua fantasia). Il Tenente Dum, compagno di viaggio non proprio inseparabile del protagonista-voce narrante Vinicio, in sella alla sua macchina demoniaca, la Trebbiatrice Volante a pedali. E poi, alle prese con gli acuti di "Nessun Dorma", Ciccillo di Benedetto, detto Cicc' Bennett per via dei suoi trascorsi americani, gestore di una storica Sala per feste e matrimoni, la Casa dell'Eco, dove deliziava gli ospiti con la potenza della sua ugola. 

La Trebbiatrice Volante del Tenente Dum

Arriviamo così al cuore del mondo di Capossela, i matrimoni di una volta, gli sposalizi, o meglio Sponzalizi, dal momento che, citando testualmente dal romanzo, far sponzare (ovvero rendere madidi di sudore) gli invitati come baccalà per il troppo ballare, era lo scopo primario dei musicisti da matrimoni. Una specie in via di estinzione a cui appartengono i componenti della Banda della Posta, perennemente accampati davanti all'ufficio postale del paese in attesa del giorno della pensione e ridottisi a suonare quasi clandestinamente, spesso per festeggiare l'uccisione di un maiale, in un'epoca in cui gli sposalizi scarseggiano. Ed è proprio per organizzare un ultimo memorabile matrimonio alla Casa dell'Eco che l'io narrante si avventura per i paesi della valle alla ricerca di musicisti disposti a suonare per il grande evento. A spingerlo è stato il latifondista Mandarino, preoccupato che da tempo non si celebrino matrimoni e che le terre faticosamente conquistate non vengano più coltivate da nessuno, ma soprattutto il povero Camoia, braccato dalla legge e deluso dalla vita, che non ha mai potuto festeggiare degnamente l'unione con la sua Marescialla, avendola rapita nottetempo (col di lei consenso). Per riparare a questo torto del destino, il protagonista del libro affronta una vera e propria catabasi alla ricerca di musicisti degni della festa ma più di ogni altra cosa all'inseguimento di se stesso e delle proprie radici giacché, scrive Ernesto De Martino, vero Virgilio dell'Inferno Caposseliano: "Coloro che non hanno radici, che sono cosmopoliti, si avviano alla morte della passione e dell'umano: per non essere provinciali occorre possedere un villaggio vivente nella memoria, a cui l'immagine e il cuore tornano sempre di nuovo, e che l'opera di scienza o di poesia riplasma in voce universale". Una memoria, quella dell'autore, piena di personaggi identificati ognuno col suo stortonome (il nomignolo senza il quale non vieni riconosciuto dalla comunità e sei solo un forestiero, proprio come il protagonista, che dovrà faticare per conquistarne uno): il camionista Scatozza, il guaritore Cazzariegghio, l'emigrato di ritorno Cenzino Ai Catta Go, il mulattiere Pacchi Pacchi, il barista Ruspa e suo fratello, il Riavolo in persona, insieme a tanti altri. Una memoria individuale che si sovrappone alla memoria collettiva ed è per questo colma anche di miti e di riti di una comunità, come l'Uccidipuorco, l'Acqua Vita e la Cumversazione. Perfino gli elementi più prosaici vengono mitizzati e quasi personificati, come avviene per il Contributo e per l'Accidente. In un mondo ancestrale e terribilmente affascinante dove la conoscenza razionale non è l'unica e forse nemmeno la principale forma di conoscenza possibile, non mancano i momenti onirici e palesemente surreali: misteriosi principi di intelletto (i cosiddetti Siensi, rappresentati come mosconi) capaci di restituire il senno a chi l'ha perso, fenomeni licantropici, animali guida come il Tauro o il Viccio (tacchino) e perfino riti dionisiaci in piena regola con tanto di caproni e baccanti. Qui Capossela tradisce o meglio dichiara con orgoglio una delle sue fonti di ispirazione primarie: il Mito dell'antichità classica, mirabilmente rivisitato e calato nel contesto della civiltà contadina, della quale egli stesso si propone come autentico aedo. In maniera non dissimile da ciò che fece Omero per la civiltà micenea, senza offesa né per Omero né per lo stesso Capossela, che guarda chiaramente ai suoi poemi come a una stella polare. Vinicio è sì un autore ma è anche un cantore della memoria collettiva che tramanda ai posteri il frutto di un percorso di ritorno verso le proprie origini durato ben 17 anni. Se c'è un merito nella sua opera, oltre all'innegabile capacità di emozionare e di rapire come pochi libri sanno fare, è a mio parere quello di rendere immortali le umanissime gesta di una civiltà, ahimè, sepolta per sempre. Il Paese dei Coppoloni, ne sono convinto, è un libro che non dimenticheremo così facilmente.